Sono abituata ad avere a che fare con i giornalisti, alle loro gaffe imbarazzanti quando si parla di persone con disabilità, ed ogni volta dover spiegare loro come si scrive, cosa scrivere e cosa non scrivere per non cadere in quel triste, superato, ignorante stereotipo che vede ancora la persona con disabilità come un povero disgraziato che “nonostante i suoi limiti” ( e qui partono le musichette struggenti e i fazzolettini) riesce a battere il destino che è stato così crudele con lui e a condurre una vita normale.
Ultimamente ho fatto molte interviste riguardo lo sport, la carriera agonistica e l’alimentazione vegana, sono stata chiamata come testimonial in moltissime conferenze e festival vegan e antispecisti a parlare di rispetto, diritti e uguaglianza oltre le specie, e a mostrare in prima persona come sia perfettamente coniugabile non solo avere un corpo sano ed atletico, ma vincere titoli e medaglie senza uccidere alcun animale.
La cosa che davvero mi ha riempito di gioia è stata che la gente veniva a salutarmi e congratularsi per i meriti etici, per la mia prestanza fisica, ma di certo non c’era alcun accenno sgradevole e fuori luogo al fatto che mi sposto con una sedia a rotelle.
In quasi tutte le testate vegan che mi hanno intervistata non vi era alcun accenno alla disabilità, al perché non cammino, e quisquiglie varie (a meno che non ci fossero riferimenti espliciti allo sci alpino paralimpico o al fatto che molti ristoranti vegan presentano ancora scalini e barriere architettoniche). Le domande e le descrizioni erano argute, intelligenti, non ho mai visto nessuno cadere in quel peloso pietismo “nonostante sia costretta sulla carrozzina” (costretta cosa poi?! Che la carrozzina è l’unico mezzo che ti rende tutta la libertà di questo mondo per muoverti, correre, viaggiare, vestirti ed avere una vita autonoma? È un po’ come dire che i miopi sono costretti a portare gli occhiali. Suona davvero ridicolo).
Eppure, il mese scorso vengo contattata da una giornalista di un magazine di cucina crudista. Rispondo a tutte le domande fatte via mail (tutte inerenti allo sci alpino, alla preparazione sportiva e alla dieta vegan, qualche accenno al fatto che faccio la modella e alla mia chitarra elettrica, e una domanda buttata lì se la mia disabilità fosse un incentivo o un ostacolo per stimolare a fare di più), mando le foto in alta risoluzione, e chiedo che mi venga fatta mandare una copia quando l’intervista fosse uscita (viste le domande così semplici, senza un accenno di presentazione non ho nemmeno pensato di chiedere di mandarmi l’intervista prima in modo da poterla vedere prima della pubblicazione).
Mi arriva il pdf dell’intervista.
Apro la pagina iniziale.
La prima riga: “A guardarla si nota tutto tranne la sua disabilità. Bella, affascinante, aggressiva, intelligente, sportiva, competitiva e amante degli animali. Ma di certo non diresti mai che sta su una sedia a rotelle”.
Ora, io mi chiedo: perché?
Perché nel 2016 ancora si crede che una donna sulla sedia a rotelle non possa essere bella, affascinante, aggressiva, intelligente?
Perché la sedia a rotelle deve ancora essere vista come uno stigma, qualcosa che crea disagio, una specie di aura oscura che va inevitabilmente a togliere valore alla persona?
Da quando in qua se sei su una sedia a rotelle devi per forza essere grassa, stupida, brutta, indolente e anti-sesso?
Perché quando certa gente si accorge che sei in carrozzina o che hai una disabilità inevitabilmente cambia lo sguardo su di te, e i suoi neuroni vanno a legarsi in una serie di pregiudizi pietosi con cui manco Clara di Heidi doveva avere a che fare?
Una frase come ” Bella, affascinante, aggressiva, intelligente, sportiva, competitiva e amante degli animali. Ma di certo non diresti mai che sta su una sedia a rotelle” è esattamente come dire di Obama ” Incredibilmente intelligente, affascinante, sensibile, carismatico, potente e presidente degli USA. Ma di certo non diresti mai che è nero”.
Suona male, malissimo, e se un giornalista si permettesse di scrivere una cosa del genere verrebbe radiato o tacciato come razzista.
Io non lo vedo come un complimento il fatto che nessuno direbbe mai che sono in carrozzina, e credo fermamente che la frase introduttiva dell’articolo sulla sottoscritta sia discriminante ed offenda tutte le donne e le persone che per un motivo o per l’altro utilizzano una sedia a rotelle per spostarsi, oltre che alimentare un pregiudizio odioso e stupido.
Vado meravigliosamente fiera ed orgogliosa della mia carrozzina, l’ho scelta con la cura e la dovizia con cui si sceglierebbero un paio di gambe: eleganti, forti, femminili e funzionali, che stia perfettamente aderente alle mie forme e che sia fatta con i materiali migliori che ci offre l’ingegneria oggi.
Ragazzi miei, poggiare le chiappe sulla carrozzina non toglie e non da nulla. Non rende meno femminili e nemmeno più femminili.
Tutto nasce dalla testa, dal modo in cui ci si percepisce, e di fare delle proprie caratteristiche irripetibili e peculiari dei punti di forza, di seduzione, di unicità (esattamente come ho detto davanti a settecento persone al TEDxVerona).
Spero con tutto il cuore che arriverà il giorno in cui anche i mass-media scriveranno di una ragazza “Forte, sexy, intelligente e terribilmente bella” E BASTA.
Senza nessun “nonostante sia nera/disabile/gay/lesbica/oversize” e pippe varie.
Perché la carrozzina non pregiudica nulla. Proprio come il colore della pelle.
Ah, questa è una foto di un set che mi hanno fatto pochi giorni fa.
Direste mai che mi sposto con una sedia a rotelle?
Spero proprio di sì! 😉
#proudofmywheelchair
Sofia Righetti
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