Non più tardi dell’altra mattina, mentre facevo anticamera, in uno miei soliti andirivieni ospedalieri per un controllo di routine sull’evoluzione della mia malattia genetica, la miopatia tipo central core disease, osservavo dei bambini, probabilmente affetti da qualche patologia simile e mi fermai a riflettere su una cosa. Questi bambini, sin da subito, si abituano a cure ed esami, sviluppano una sorta di maggiore resistenza al dolore… li guardavo entrare nella stanza dei prelievi, in fila indiana… le mamme non avevano bisogno di dir loro di stare zitti e fermi, buoni mentre l’infermiera infilava l’ago… il paragone viene facile, quante volte ci è capitato di osservare per strada, o al supermercato, bambini fare capricci, contorcersi, dibattersi… per ottenere un gioco?!? Che differenza, eh?!? E questi invece, non dicono niente, vanno al “patibolo” così… quasi serenamente…
I medici, gli psicologi, psicoterapeuti, le chiamano “resilience”…cioè le elasticità, o meglio le capacità di recupero, di adattamento per la sopravvivenza, di chi viene abituato sin da subito alla sofferenza. La memoria corre veloce, mi riporta indietro a quando ero bambina pure io, è in quegli anni che cominciai a fare la scorza dura, e non solo quella; a pensarci bene sono testarda, caparbia, cocciuta, ostinata. È uno dei miei peggior difetti o uno dei miei migliori pregi, comunque è grazie alla mia ostinazione, alla mia testardaggine, alla mia testa dura se sono ancora qua a raccontarla, se non mi sono mai arresa di fronte ad ogni tipo di problema! Ricordo che, quando avevo tre o quattro anni, mia madre mi portava a fare delle terapie tra Lanzara e Nola. Andavamo con una vecchia 127 Fiat, verde bottiglia e cantavamo insieme a squarciagola: “A chi?” di Fausto Leali. Mi seguiva un dottore, di cui non ricordo il cognome, solo il nome: Pasquale!
Pasquale era un omone grande e grosso, occhialuto, che mi guardava strano, e che mi aveva affibbiato un nomignolo. Mi chiamava: “A Ciuccia sardagnola” perché asseriva che ero testarda come un’asina sarda, di quelle piccole ma tenaci, resistenti alle fatiche, al lavoro, con una coccia tosta a cui era impossibile far cambiare idea! Credo che sia ancora così, quando mi metto in testa una cosa, è difficile togliermela. Pasquale c’aveva visto giusto. Sempre a quell’epoca risale la mia fissazione per le Barbie, e ricordo che, una sera d’estate, di fine luglio, c’era la festa a Sant’Anna, al mio paese. Faceva caldo e da Santa Rosa, dove abito, salivamo a piedi verso la chiesa, io ero sempre sulle spalle di papà! Nel salire verso la chiesa, c’erano le bancarelle, e c’era sempre Rosanna, la giocattolaia storica di Cava, la bionda, con la sua bancarella che vendeva anche le Barbie. Ne vidi una, semplicissima, aveva il costume da bagno, modello olimpionico, fucsia e blu, e per tutto il tragitto non feci altro che dire a papà: “Voglio la Barbie!” …la litania ebbe fine quando, tornando a casa me la comprò, lo presi per sfinimento, credo! La scartai per strada e stando sempre sulle spalle di papà, facevo fare alla Barbie la sfilata sulla sua testa calva, la passerella c’era tutta, anche lucida…ahahah…avevo ottenuto quel che volevo. Questa testardaggine, questa cocciutaggine è la stessa con cui affronto i problemi del quotidiano da sempre; ripensandomi però provo ancora tanta compassione per quella bambina, mi fa ancora tanta pena perché è cresciuta troppo in fretta, ha messo da parte la tristezza, arrivando a non sentirla più; nei momenti più duri si è lasciata carburare dalla rabbia, e solo adesso, dopo anni di psicoterapia, sa dare un nome a queste emozioni, le sente e le riconosce. Solo adesso sto raggiungendo una maturità emozionale, una sorta di stabilità emotiva. Ma che ne sanno quelli che si lamentano?!? A ognuno di quegli individui che ogni giorno mi fanno una testa così e si piangono addosso per delle stronzate vorrei regale un binocolo e suggerirgli di utilizzarlo al contrario! Se solo provassero a rimpicciolire le cose, piuttosto che ingrandirle, vivrebbero meglio. Certe persone prima di parlare, dovrebbero farsi un giro in qualche ospedale, osservare la vera sofferenza, quella non urlata, non sbandierata… quella che fortifica.
Qualche anno fa, parlavo con un amico, mi sfogavo raccontandogli i miei problemi di lavoro, le incomprensioni familiari; comunque uscivo da un brutto periodo, avevo da poco perso mia zia, sorella di mia madre, e mentre lei moriva, la mia mamma iniziava le chemioterapie per un Linfoma di Hodgkin;
non ricordo cosa gli stavo raccontando, ma rispetto a tutto il resto, era una sciocchezza… lui mi fermò, arrestò il mio piagnucolio e mi chiese: “Anna, sono problemi di salute?!?” – io risposi di no, e lui: “Allora non sono problemi!”. Da allora, quando sento qualcuno lamentarsi, o mi piglia lo sconforto… penso al mio vissuto, penso alle parole del mio amico, e giro il binocolo al contrario!!!
Commenti recenti