Assistenza domiciliare, Vita Indipendente, Collocamento mirato… tutti termini che, cinquanta anni fa e oltre, erano assolutamente sconosciuti sia agli operatori, sia alle famiglie e sia ai diretti interessati: i disabili.
Come Remo, come Paolo, come Virginio e come molti altri che tanti anni fa, ancora bambini o ragazzi, sono entrati in Istituto e lì hanno trascorso tutta l’esistenza, magari, come nel loro caso, solo per colpa di una crisi epilettica. Fuori, i loro genitori, i loro fratelli, gli amici, i compagni di scuola vivevano la loro vita, i loro amori e le loro età. Dentro, sulle aspettative, sui sogni e sui ricordi di Remo e degli altri, intanto, anno, dopo anno, si depositava la polvere. E oggi, che di anni ne sono passati più di cinquanta, quel dolore grande che è l’essere abbandonati, quasi non si sente più. Lascia il posto ad una leggerezza, ad un desiderio di essere, per un attimo, protagonisti almeno nell’ultima parte dell’esistenza. Come profetizzava Warhol, prima o poi tutti hanno il loro quarto d’ora di notorietà. Così è stato anche per Remo e gli altri, protagonisti di “Dust”, polvere, un film per la regia di Falsetta che ha riscosso consensi al Festival di Torino e che mercoledì 17 febbraio sarà presentato al Festival di Berlino, prima di partecipare al “We care Film Festival” di New Delhi con il patrocinio dell’Unesco e di lì proseguire nel promuovere l’attenzione per la disabilità in Iran, Kuwait, Oman, Francia. “Dust” ha un sottotitolo, “La vita che vorrei”. Quella vita che non è stata, il film la ripercorre tra immagini poetiche, musiche e dolorose constatazioni. “Non è la vita che vorrei quella che ho adesso, ma va bene così” dice Paolo, nel film.. Chissà come potrebbe essere la vita di noi tutti, se potessimo sempre, davvero, poter vivere “la vita che vorrei”.
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